La Scienza in una società libera

Relazione al XVI congresso FIAMO: ‘Il futuro dell’omeopatia italiana e della FIAMO’, Roma, 22 – 23 Giugno 2019 

“Una società libera è un’unione di uomini maturi e non un gregge di pecore guidato da un piccolo gruppo di sapientoni” (P. Feyerabend, La scienza in una società libera (1978), tr. it. Feltrinelli, Milano 1981, pag. 131).

La Scienza è un riconosciuto esempio di conoscenza democratica, e chi afferma il contrario evidentemente la confonde con qualcos’altro. O meglio, confonde i fatti, che certamente non sono democratici ( i fatti irriducibili e ostinati, come li chiamava Galileo) con le loro interpretazioni, in base alla quali si formano le teorie che formano la scienza.

Difatti, i difensori del totalitarismo scientifico per sostenere la loro opinione non citano teorie ma fatti irriducibili e ostinati, con battute dal sicuro effetto mediatico: «la velocità della luce non si decide per alzata di mano» (P. Angela); «una palla di ferro gettata in mare andrebbe invariabilmente a fondo, anche se un referendum popolare stabilisse che il peso specifico del ferro è inferiore a quello dell’acqua» (R. Burioni).

In realtà, molti fatti sono stati sotto gli occhi di tutti per secoli, ma soltanto quando sono stati interpretati da un vero scienziato sono diventati la base per la costruzione di teorie scientifiche: migliaia di mele erano già cadute dagli alberi prima che Newton utilizzasse questo fatto per elaborare la teoria della gravitazione universale; innumerevoli volte i lampadari e altri oggetti appesi avevano oscillato, prima che Galileo derivasse da questo fatto le leggi del pendolo, e così via.

Dunque, le teorie, che derivano dall’interpretazione e sistematizzazione dei fatti e formano la scienza, sono poi sottoposte al confronto democratico all’interno della comunità scientifica.

Le descrizioni e le teorizzazioni intorno al concetto di democrazia citano spesso, come esempio di comunità organizzata in maniera democratica, proprio quella scientifica, al cui  interno vige il principio fondamentale delle democrazie:  il principio del dialogo o principio della discussione critica, che afferma:

niente deve essere accettato per autorità  e per tradizione, tutto deve essere sottoposto alla discussione e al confronto argomentativo. [2]

La scienza è, dunque, una comunità democratica, fondata sul consenso dei suoi componenti. Wikipedia definisce questo consenso come:

il giudizio, la posizione e l’opinione collettiva della comunità scientifica in un particolare campo della scienza in un particolare istante. Il consenso scientifico non è, di per sé, una prova scientifica, e non è parte del metodo scientifico; ad ogni modo, il merito del consenso può essere basato sia sulle prove che sul metodo scientifico.

Da qui iniziano, però, due ordini di problemi:

– uno interno alla comunità scientifica, che è stato ben descritto dai filosofi della scienza, da T. Khun a I. Lakatos a P. Feyerabend, ed è conosciuto da molti anni da tutti coloro che esercitano medicine diverse da quella ufficiale.

– uno esterno ad essa, che riguarda l’interfaccia tra questa comunità e la società civile. Anche questa problematica è stata descritta, fin dal suo inizio, da filosofi come M. Foucault e I. Stengers, ma si è enormemente accentuata negli ultimi tempi, fino a raggiungere proporzioni inquietanti al giorno d’oggi.

Il problema interno alla comunità scientifica: l’uso «disinvolto» del concetto di placebo.

Questa situazione si spiega bene partendo dal pensiero di uno dei maggiori epistemologi del Novecento, Imre Lakatos.

Secondo questo studioso, infatti, ogni teoria scientifica ( o meglio ogni «programma di ricerca») è costituito attorno ad un nucleo  (hard-core) che contiene le assunzioni di base, ovvero i presupposti della scienza attuale, che non devono essere confutati per una «decisione metodologica dei suoi protagonisti».[3] Per salvaguardare questo nucleo dalle falsificazioni, si crea, quindi, intorno ad esso una cintura protettiva di ipotesi ausiliarie, condizioni iniziali, e via dicendo.

Questa cintura protettiva ha una doppia valenza, una positiva e una negativa: da un lato,  può utilizzare i risultati della ricerca sperimentale per introdurre e migliorare ipotesi ausiliarie che, in sintonia con le affermazioni del nucleo, spiegano i fatti già noti e ne predicono di nuovi (euristica positiva); dall’altro, però, per salvaguardare sempre e comunque il nucleo metafisico dalla confutazione, può  introdurre ipotesi ad hoc che ostacolano il progresso della conoscenza (euristica negativa). Sono ad hoc, infatti, quelle ipotesi che consistono nell’«aggiungere un postulato o nel ritoccarne uno esistente e tale da non avere conseguenze controllabili che già non fossero conseguenze controllabili della teoria iniziale»[4] e che quindi non aggiungono vera conoscenza, ma si limitano a difendere lo status quo.

Per Lakatos, i programmi di ricerca ( le teorie scientifiche) si dividono in due categorie: sono progressivi quelli capaci di  far prevedere fatti nuovi, senza ricorrere preventivamente alla sperimentazione ( in questo caso lo sviluppo teorico avanza più velocemente di quello sperimentale); saranno, invece, regressivi o degenerati quelli che non sono in grado di far prevedere fatti nuovi, ma aumentano semplicemente le capacità di spiegare fenomeni già noti.

La storia della scienza pullula di situazioni nelle quali l’emergenza di nuovi fatti «irriducibili ed ostinati», che contraddicevano il nucleo della teoria attuale, è stata spiegata con un’ipotesi ad hoc, che per qualche tempo è riuscita ad ostacolare il progresso della conoscenza, che alla fine è avvenuto attraverso un cambio di paradigma, ovvero una modifica delle asserzioni del nucleo.

Ad esempio, gli aristotelici che difendevano l’idea che i corpi celesti sono sfere perfette, mentre l’osservazione galileiana mostrava la Luna costellata di montagne e crateri, ipotizzarono la presenza sul nostro satellite di una sostanza invisibile che riempiva i crateri e copriva le montagne, rendendolo perfettamente sferico; oppure, la teoria che le sostanze che bruciano emettano del flogisto  fu protetta, all’inizio, dall’osservazione di Lavoisier di un frequente aumento del peso dopo la combustione,  ipotizzando che il flogisto avesse peso negativo…

Un caso molto utilizzato di ipotesi ad hoc che rende regressivo il programma di ricerca da quella scienza biomedica che lo utilizza in maniera troppo disinvolta è, quindi, quello di effetto placebo, che viene chiamato in causa, in maniera acritica, ogni volta che si è in presenza di un risultato di un sistema terapeutico «non accettato dalla medicina ufficiale» ( o meglio dal ricercatore che sta commentando o eseguendo l’esperimento).

La questione non è sfuggita agli epistemologici più attenti. I. Stengers ha parlato di un «carattere dissimmetrico del metodo sperimentale così come è praticato in medicina» [5] e lo storico della Scienza  P. A. Rossi l’ha descritto con molta efficacia:

A questo punto c’è da pensare a quale idea geniale si possano attaccare i medici (diversamente dagli altri studiosi, legati ad un’epistemologia e ad una metodologia troppo ristrette): se (…) il malato è guarito (o sta meglio) dopo che si sono utilizzate delle terapie «non accettate dalla medicina ufficiale», allora io chiamerò questo effetto placebo e non penserò più che quel fatto avrebbe avuto bisogno di una nuova teoria. (…) Sarebbe come se io chiamando «effetto raprillico» le questioni indecise in fisica o in matematica, queste la smettessero di essere tali. [6]

Il problema esterno della comunità scientifica: la Biopolitica e l’occupazione dell’interfaccia

Il secondo problema di cui si diceva, a proposito della democraticità della scienza, inizia con quella che, da Foucault in poi, si può chiamare Biopolitica, ovvero:

il modo con cui si è cercato, dal XVIII secolo in poi, di razionalizzare i problemi posti alla pratica governamentale dai fenomeni specifici di un insieme di esseri viventi costituti in popolazione: salute, igiene, longevità, razze…È noto quale spazio crescente abbiano avuto questi problemi a partire dal XIX secolo e quali poste politiche ed economiche abbiano costituito sino ad oggi. [7]

Al tempo della Biopolitica, il potere non si occupa più della morte delle persone, ma ne gestisce la vita, decide in quale modo debbano curarsi, quali sistemi medici possono utilizzare e quali no.

L’imposizione non è diretta, palese, come ai tempi del nazismo, ma è sottile,’ light’, comunque di sicura efficacia, perché utilizza proprio l’autorevolezza di quella che dovrebbe essere l’istituzione più democratica della modernità: la scienza.

Il Biopotere, oggi, ha trovato un modo semplice ed efficace per imporre le proprie decisioni senza corrompere giudici, uomini di potere o scienziati. Un modo tutto sommato legale, o comunque del quale è molto difficile dimostrare l’illegalità. E che fa presa soprattutto nel mondo della Cultura e di quella che una volta si chiamava la Sinistra, in politica.

Questo modo sfrutta la naturale e sacrosanta pluralità di vedute che caratterizza la comunità scientifica.

Tutte le teorie scientifiche sono, infatti, relative, perché sono destinate ad essere prima o poi superate da teorie migliori, come i record di velocità.

In ogni momento, quindi, all’interno della comunità scientifica ci può essere un accordo completo su certe ‘verità’, ad esempio oggi è così per  l’evoluzione o per la teoria eliocentrica, ma è anche inevitabile che si formino gruppi, all’inizio minoritari, che sostengono teorie diverse, innovative.

Questa pluralità è un elemento irrinunciabile della scienza e del suo progresso. Come diceva I. Lakatos, ogni teoria innovativa deve essere protetta, all’inizio, «come un bebè neonato in un mondo ostile», per darle il tempo di accumulare le prove necessarie a farla accettare, magari a costo di un cambio di paradigma della scienza contemporanea.

Molte teorie che oggi consideriamo fondamentali  sono state sostenute, all’inizio, da gruppi minoritari: ad esempio, l’astronomia geocentrica ed eliocentrica erano sostenute da gruppi diversi in gran parte del XVII secolo;  e lo stesso è accaduto per i sostenitori della fisica newtoniana e per quella cartesiana nei primi anni del XVIII secolo.

Anche nella scienza attuale, molte teorie sono oggetto di dispute, e ci sono gruppi più o meno grandi che accettano teorie diverse da quelle dominanti.

È questa la situazione anche della medicina omeopatica, considerando i gruppi di ricerca di Montagnier,  V. Elia, P. Bellavite, Lucietta Betti, Bellare JR, Van Wassenhoven e via dicendo; gli studi di nanomedicina; gli studi RCT peer reviewed e le metanalisi che hanno dato, nel complesso, risultati favorevoli all’omeopatia ( si veda, a tale proposito, il ricchissimo database pubblicato dalla FIAMO)

Harold I. Brown, filosofo della scienza, distingue le teorie in vere1 se sono accettate da tutti i membri della comunità scientifica,  vere2  se lo sono soltanto da un gruppo, ed ovviamente anche la teoria rivale è vera2  per il gruppo che la sostiene.[8]La teoria omeopatica può quindi essere legittimamente considerata vera2.

Ma la società civile non ha questa percezione. Per la maggioranza della società civile – soprattutto per coloro che non hanno avuto esperienza diretta della questione – nella comunità scientifica c’è consenso di tipo 1 sul fatto che “non ci sono prove scientifiche” che l’omeopatia funzioni ( il logoro mantra dell’ “acqua fresca”).

Questo perché il Biopotere ha occupato l’interfaccia scienza-società civile, filtrando in maniera antidemocratica la comunicazione all’esterno dei risultati della ricerca scientifica.

Facciamo un esempio: prendiamo una scatola con delle biglie, in parte rosse, in parte gialle, in parte blu, che rappresentano la pluralità di vedute che caratterizza oggi la comunità degli scienziati su un determinato argomento.

Poi, immaginiamo che un gruppo di persone, che non vede il contenuto della scatola, incarichi qualcuno di portargli 5 biglie di quella scatola.

Se questa persona porterà 5 biglie gialle, e solo gialle, il gruppo sarà convinto che nella scatola ci sono solo biglie gialle. E il gioco sarà fatto.

Sfruttando l’enorme credito che ha la Scienza nella nostra società secolarizzata, il Biopotere ha quindi  capito che basta inserire nei punti chiave – direttori di istituti di ricerca e Società mediche, noti divulgatori scientifici, «scienziati» molto attivi  sui social – 5 o 6 biglie «gialle», senza bisogno di corromperle: basta prendere quelle che sono «naturalmente» di questo colore (=ostili all’omeopatia) – e il gioco è fatto.

La maggioranza delle persone colte sarà convinta dell’uniformità giallina delle biglie, anche se – e questo è il dato più sorprendente – le informazioni che proverebbero il contrario sono sotto gli occhi di tutti, come la lettera rubata di Edgar Allan Poe, ma nessuno ci fa caso.

Basta digitare homeopathy su Pubmed per imbattersi in una miriade di ricerche sull’omeopatia, molte favorevoli, e la FIAMO ha pubblicato online un prezioso database, messo a punto da Francesco Marino, ma nessuno lo vede. Un vero fenomeno di cecità collettiva.

Un’importante radice di questo fenomeno è rappresentata dalla divisione in «Due culture» che caratterizza la nostra civiltà, fin dalla nascita della scienza moderna.

Sin da allora, infatti, si era deciso che il mondo della Natura, dalla fisica alla medicina, sarebbe stato di competenza degli uomini di «scienza», mentre gli intellettuali e gli altri uomini di «cultura» si sarebbero occupati soltanto della sfera della Storia e della Società.

Nel corso del tempo, la distinzione tra le ‘due culture’ è stata anche connotata politicamente: come ha spiegato G. Vattimo, la Destra ha privilegiato il mondo della Natura, perché intende partire dalle differenze «naturali», dall’eredità alla razza, per produrre competizione e ricchezza, mentre la Sinistra ha preferito la sfera della Cultura, perché si propone di correggere queste differenze per fondare un mondo più giusto e più libero.

La Sinistra, inoltre, ha una vera e propria venerazione per la Scienza, perché questa, a differenza delle religioni tradizionali, che legano, re-ligano, i devoti,  riesce a coniugare l’idea di legge con quella di libertà, che le è così cara.

Gli intellettuali e le persone colte ‘di sinistra’ l’hanno così nominata, di fatto, la loro «religione laica», e questo ha facilitato enormemente il compito al Biopotere: basta che un singolo «scienziato» si dichiari rappresentante della Scienza ufficiale, ed i giornalisti, gli intellettuali e gli uomini colti in genere, soprattutto se di idee progressiste, credono ciecamente alle sue parole e non verificano la fonte delle affermazioni che fa. Esattamente come si comporta un devoto di fronte al suo parroco, che gli indica la giusta via da seguire: di solito, non va a chiedere ad altri sacerdoti, ma «crede» nella buona fede del suo prelato.

Questi «scienziati-prelati» mediatici, in realtà, sono quasi sempre dei tecnici, che non hanno scoperto nulla, ma si limitano a diffondere le ricerche fatte da altri. Per sostenere le loro tesi, usano una tecnica molto semplice: quella dell’omissione. Non dicono, quindi, cose del tutto inesatte, ma semplicemente omettono una parte di realtà.

Omettono gli studi a favore dell’omeopatia, dicendo che ‘non ci sono prove’ quando ce ne sarebbero,  come a volte omettono gli effetti collaterali di farmaci o vaccini.

Studi e segnalazioni che tutti potrebbero facilmente reperire nel mondo mediatizzato, ma non lo fanno: ci si fida della parola dello «scienziato-prelato» di turno, credendolo il rappresentate di una «comunità scientifica» che, in realtà, non lo ha mai eletto ed alla quale anzi – se la consideriamo in senso ristretto come la comunità degli studiosi che stanno lavorando ad un determinato problema – di solito nemmeno appartiene.

E nessuno, come si diceva, controlla le fonti.

La cosa è decisamente singolare, perché in altri tempi ed in altri settori – ad esempio, riguardo ai rischi degli OGM, delle centrali nucleari, ai cambiamenti climatici quando la scienza ufficiale ne negava l’origine antropica  – giornalisti ed uomini di cultura non si sono fidati delle rassicurazioni dei tecnici ‘ufficiali’, ma sono andati a cercare altrove – ovvero da altri tecnici – le informazioni sui rischi di queste tecnologie, che anche in quel caso venivano omesse e minimizzate dai tecnici ‘ufficiali’, e queste informazioni complete sono state poi passate alla società civile ed hanno rappresentato la base di movimenti di protesta che hanno limitato , o addirittura bloccato del tutto, come nel caso dell’ energia nucleare, l’utilizzo di queste tecnologie.

Tutto questo non sta accadendo in medicina, probabilmente per due motivi principali:

– l’abile campagna mediatica che, con il sistema delle biglie gialle, ha fatto intendere un confronto tutto interno alla comunità scientifica come un conflitto tra la Scienza da una parte, e gli Ignoranti ( i somari) dall’altra ( altra parte che, invece, è spesso sostenuta da scienziati molto più qualificati dei loro detrattori);

– l’aura di sacralità e di rispetto di cui gode la Scienza nel mondo della Cultura, che si consegna acriticamente nelle mani di quelli che ritiene i suoi rappresentanti.

Quest’aspetto sarebbe inquietante anche se gli autoproclamati sacerdoti della scienza fossero stati veramente eletti dalla loro comunità, perché  una società libera non può essere governata soltanto dagli ‘esperti’: la loro opinione va ovviamente presa in considerazione, ma le decisioni su quale sistema medico utilizzare, sulle misure da utilizzare per prevenire determinate malattie, ecc., sono decisioni politiche, che vanno prese democraticamente valutando  le conclusioni dei tecnici.

Come aveva già notato Aristotele, nessun cittadino, per quanto competente, può superare da solo la competenza dei ‘molti’, perché, anche se ognuno di questi ultimi ne possiede solo una piccola frazione, prendendoli tutti insieme essi hanno una competenza molto maggiore (Aristotele, Politica, 1281 a 40-43).

Anche se i sacerdoti mediatici fossero davvero i rappresentanti eletti dalla comunità scientifica, il mondo della Cultura, ed in particolare di quella Cultura democratica che una volta si chiamava ‘la Sinistra’, non dovrebbe, quindi, mai rinunciare al suo ruolo tradizionale di latore di un pensiero critico che deve sottopone a revisione, interpretazione e critica anche le informazioni che vengono dal mondo scientifico.

Quando si è rinunciato a questo pensiero critico, quando si sono accettati senza giudicarli i dati con cui la scienza rappresenta il mondo naturale, si è sempre aperta la porta ad un totalitarismo, di destra o di sinistra, all’ideologia fondata sull’accettazione acritica, ad esempio, della concezione «scientifica» della razza o di quella dell’economia.

La situazione diventa ancora più preoccupante se la devozione di giornalisti e intellettuali è rivolta a ‘scienziati- sacerdoti’ ai quali il Biopotere, e non la comunità scientifica, ha assegnato questo ruolo.

È ciò che è accaduto negli ultimi tempi. La quasi totalità delle testate giornalistiche e dei programmi televisivi ‘di Sinistra’ ha riservato un ruolo d’onore, direttamente ai neosacerdoti  della scienza mediatica – le ‘biglie gialle’, in genere sempre gli stessi due o tre personaggi – oppure ha riportato le sentenze senza appello di antropologi, opinionisti ed uomini di cultura, fondate sull’accettazione acritica delle informazioni riferite da questi stessi ‘sacerdoti’ a nome dell’intera comunità scientifica, senza valutare né il loro diritto a rappresentare questa comunità, né la correttezza e la completezza delle indicazioni che davano.

La comunità omeopatica è stata così attaccata da una sorta di Idra mediatica – simile all’Idra di Lerna, sconfitta da Ercole – formata da tante ‘testate’ che hanno sferrato ripetuti attacchi, a volte portati in perfetta buona fede da giornalisti che si sono fidati del parere degli ‘scienziati’ di turno, come un giornalista di cronaca si fida del resoconto dei fatti fornito dalle autorità competenti.

 

Non è facile, quindi, rispondere a questi attacchi, ma possiamo imparare dal mito: come fece Ercole a sconfiggere l’Idra?

Per prima cosa, quindi, è necessario sollecitare gli intellettuali, i giornalisti e gli uomini colti in genere a riprendere il loro ruolo critico ed a ricercare in maniera autonoma le informazioni omesse dai neosacerdoti ufficiali, e soprattutto ad indagare sulla loro legittimità a rappresentare l’intera comunità scientifica, e soprattutto,  com’è già accaduto nel mondo della sanità in un passato non molto lontano, sarebbe prezioso un lavoro di indagine volto a cercare di svelare il malaffare e la corruzione che animano la testa centrale dell’Idra, che Ercole riuscì a sconfiggere seppellendola sotto una grossa pietra: e qui l’etimologia della parole ci dà una bella indicazione, perché ‘pietra’, in greco, non a caso si dice… skandalon.

di Aldo Cichetti

 

[1] P. Feyerabend, La scienza in una società libera (1978), tr. it. Feltrinelli, Milano 1981, pag. 131.

[2] S. Petrucciani, Democrazia, Einaudi, Torino 2014, pag. 122.

[3] I Lakatos, La falsificazione e la metodologia dei programmi di ricerca scientifici, in Critica e crescita della conoscenza, a cura di I. Lakatos e A. Musgrave, Feltrinelli, Milano 1976 (pp. 164-276).

[4] A. F. Chalmers, Che cos’è questa scienza (1976), tr. it. Mondadori, Milano 1979, pag. 58.

[5] I. Stengers, Il medico e il ciarlatano, in: T. Nathan, I. Stengers, Medici e stregoni (1995), tr. it. Bollati Boringhieri, Milano 1996, p. 123.

[6] P. A. Rossi, Editoriale, in Anthropos & Iatria, anno V, N. 3, Luglio – Settembre 2001, p. 7. Corsivo mio.

[7] M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), tr. it. Feltrinelli, Milano 2005, pag. 261.

[8] H. I. Brown, La nuova filosofia della scienza (1977), tr. it. Laterza, Roma-Bari 1984, pp. 179 – 183.

[9] P. Feyerabend, La scienza in una società libera (1978), tr. it. Feltrinelli, Milano 1981, pag. 131.

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